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La santità di Bartolo Longo

Bartolo Longo

*Grandezza di un uomo
La grandezza di un uomo e la consapevolezza ed esatta intelligenza dell'imitazione di Cristo anche nei rapporti talvolta sofferti con le autorità ecclesiastiche
La vita di ogni santo è provata da momenti, a volte duri, di fedeltà alla propria vocazione, cioè a quel che il Signore vuole da ciascuno di essi. Si direbbe che sulla loro strada il Signore ponga
degli ostacoli per verificare la loro capacità di risposta a Lui, per saggiare la loro pazienza e la capacità  di intelligenza del significato della "imitazione di Cristo".
Non c’è una santità facile, nessun santo ha vissuto come placida avventura il suo impegno cristiano.
Là dove essi han dovuto sfondare o porre la novità delle loro intuizioni, dei loro carismi, delle loro realizzazioni, non sempre hanno incontrato facilmente consenziente la chiesa istituzionale, o ufficiale, o gerarchica.
Sembra, anzi, a prima vista, che tra istituzione e carisma, tra autorità e santità debba necessariamente intercorrere un confronto laborioso, spesso drammatico, con contemporanea sofferenza reciproca nonostante la reciproca retta intenzione.
Ho pensato lo scritto di P. Alfredo Marranzini su Civiltà Cattolica del 18 febbraio 1984, dal titolo "Bartolo Longo e la Civiltà Cattolica", e riscontro in quelle pagine la verità di quanto ho affermato, la prova di santità di Bartolo Longo nei fatti ivi riferiti, e noto che quell’uomo era veramente grande, che la sua intelligenza della "imitazione di Cristo" era consapevole ed esatta. Entrato in azione tra gli uomini, nella Chiesa e nel mondo, non potrà fare a meno di confrontarsi, con la dignità richiesta e il coraggio necessario, sui due versanti, dando prova di conoscere i soggetti del confronto senza pretendere privilegi d’intoccabilità o patenti d’ortodossia operativa.
Anche per Bartolo Longo – nonostante l’evidente retta intenzione – s’impone la legge del dover dare ragione, del dover rendere conto, del dover rispondere a chi ha autorità nella Chiesa, del suo operato, delle sue intenzioni.
A prima vista sembra un modo troppo umano di trattare cose spirituali, mentre in realtà è il modo ordinario di vivere le idealità evangeliche nel rapporto di dipendenza con la struttura istituzionale e nella ricerca di una identità che lascia chiaramente trasparire la ecclesialità delle intenzioni e la verità di ogni azione.
Due santi di fronte
Si direbbe che fa parte della ordinaria letteratura della vita dei santi la presenza di quelle persone che insinuano sospetti, che pensano male fino alla calunnia, che interpretano il loro comportamento con mente piccina tanto da provocare l’intervento dell’autorità, che ha il diritto-dovere di vederci chiaro.
Si può immaginare quale risonanza potesse avere presso le autorità romane tutto ciò che dicevano sulla nuova Pompei di Bartolo Longo, sulla effettiva consistenza delle opere, sulle
offerte che arrivano da tutto il mondo, sugli operatori e collaboratori che in una realtà così vasta e articolata non potevano mancare: soprattutto quando c’entra anche la stampa scandalistica e anticlericale!
Dopo Papa Leone XIII, che nei confronti del Fondatore aveva mostrato un atteggiamento benevolo, Papa Pio X diede segni di una certa diffidenza sulla conduzione generale del Santuario e sulla gestione delle offerte, fino al punto da imporre con un decreto norme da osservarsi "sotto pena di scomunica riservata al sommo Pontefice".
Bartolo Longo, in questo frangente, dimostra di possedere grande sensibilità di uomo e di santo, equilibrio e saggezza che gli fanno onore, intraprendenza e pazienza che gli consentono di tener l’iniziativa per quanto più è possibile, difendendosi e controllando l’opposizione degli avversari. È tempo di sofferenza, di umiltà, di preghiera, di ubbidienza.
Proprio quel che fa per i santi. Le figure degli amici, in questa lunga prova, sono veramente ammirevoli, le lettere e i colloqui, le confidenze e i modi di superare le difficoltà esprimono la cruda verità del concreto contesto degli uomini e delle cose, contesto nel quale le idealità possono naufragare e ritorcersi finanche contro la stessa persona se princìpi di alta spiritualità e Grazia e preghiera non intervengono con giudizio che porti in alto e faccia vedere tutto nella positiva luce del "tutto concorre al bene degli eletti" e del "nulla potrà separarci dall’amore di Cristo, neppure la sofferenza, neppure la morte…" dell’apostolo Paolo.
È commuovente pensare che due uomini, che la Chiesa poi dichiarerà degli di essere imitati, (S. Pio X – Beato Bartolo Longo) nel piano della Provvidenza, o nel gioco della Grazia, sono chiamati a vivere, in ruoli diversi, una contrapposizione senza sfida, una contesa senza rancore, un dialogo senza parità, un ricercare insieme senza intenti eliminatori, un andare insieme senza apparente convergenza: ma sono due santi consapevoli della fedeltà a se stessi, una chiara sintonia con la moralità della propria vocazione: il Papa che autorevolmente interviene, Bartolo Longo che lealmente risponde sostengono il proprio ruolo con dignità, in una apparente divergente interpretazione della volontà di Dio, che alla fine si manifesterà con l’affermazione dell’autorità del Papa e con la valorizzazione del carisma del Fondatore.
"Non si volge chi a stella è fisso"
La frase è di Leonardo da Vinci ma ben si attaglia allo spirito di Bartolo Longo, alla capacità di perseverare nella direzione scelta.
Certo i santi hanno il dono particolare di saper leggere tra gli avvenimenti anche quando lo scritto è contorto e il pensiero è di difficile interpretazione: è una lettura che comporta sofferenza, spesso anche lacrime, ma nella loro condotta traspare una sintonia con altre fonti, una percezione non dimostrabile con sillogismi, un lasciarsi condurre senza abdicare alla propria autonoma responsabilità, un sentire o vedere, oltre la caduta d’orizzonte delle cose e degli avvenimenti, il significato nascosto di ogni incertezza e di ogni problema.
Quando leggiamo, nella vita del Fondatore. Le varie fasi che portarono alla cessione del Santuario e delle Opere annesse alla Santa Sede, ci accorgiamo della cosiddetta "dimensione della santità", cioè di quel giudizio di verità che il santo riesce a formarsi, giudizio liberante ed elevante proprio perché fa possedere ancor di più ciò a cui si rinuncia.
Ma si tratta di un possesso oblativo, nient’affatto egoistico o compensativo, proprio secondo la risposta che Papa Pio X diede quando Bartolo Longo dopo la stipula della convenzione, in udienza disse: "Posso ora morire tranquillo?": "No, voi non dovete morire, ma lavorare".
È così che il Fondatore della nuova Pompei, cioè della Pompei della Madonna e delle Opere di Carità, è fedele a se stesso sino alla fine: sapendo cogliere il senso di ogni circostanza o tratto di tempo, vedendo nelle complesse e contradditorie situazioni la normale condizione di ogni testimonianza di Fede, dando al rapporto con l’autorità della Chiesa il valore esatto della comune responsabilità nelle diverse mansioni, accettando e offrendo al Signore quel che la cattiveria o la superficialità degli uomini dicevano o facevano contro di lui. Chi oggi si ferma a Pompei, in Basilica o presso le Opere, e risale nel tempo e quando quell’uomo realizzava il suo sogno di Fede e di Carità e ricorda e ricorda che quel tempo non fu esente da sofferenze e che quelle realizzazioni sono il frutto di una risposta al Signore, non può fare a meno di dire a se stesso, come in una riflessione ecclesiale: "I santi partono sempre da lontano, sanno che il cammino è lungo e difficile – i santi si preoccupano di essere per gli altri anche quando sono maltrattati – Non conta quanto gli altri non hanno saputo dare o quanto gli altri hanno dato in negativo, conta quel che il santo è stato in grado di dire e di fare in bene".

(Autore: Giuseppe Oliva)

*Solo chi crede nella Provvidenza realizza i suoi sogni
"Nulla è impossibile per chi crede, nulla è difficile per chi ama", diceva san Benedetto. Il Fondatore del Santuario e della Nuova Pompei non avrebbe mai potuto concretizzare i suoi progetti se non avesse avuto totale fiducia nell’aiuto e nell’amore di Dio
L'insegnamento del Beato Bartolo Longo
Il sogno è comune a tutti gli uomini, soprattutto quelli dotati di grandezza morale e spirituale, ai grandi pensatori, come il Beato Bartolo Longo, il quale aveva avuto dal cielo molte di queste doti: intelligenza, cuore, intuizione e capacità organizzative. Logico, dunque, che fosse un grande sognatore. Con la tenacia, i suoi sogni diventarono realtà.
La sua esperienza umana e spirituale poggiava su due pilastri fondamentali. Il primo era l’intenso amore per Dio, per la Vergine e per il prossimo, grazie al quale riuscì a coinvolgere il mondo
intero, infatti, al dono del discernimento si univa quello di conquistare le anime a Cristo.
Il secondo era un nobilissimo sogno, difficile da realizzare, ma che occupava con insistenza i suoi pensieri. Con la sua realizzazione, avrebbe "coronato" la sua missione pompeiana.
Dal 1872, Bartolo Longo, nuovo nello spirito e fervente missionario, viste le esigenze pietose della popolazione di Valle, si rimboccò le maniche e cominciò una serie di attività sociali, morali e culturali con i quali riuscì a civilizzare questi contadini.
Con le sue capacità creative e la sua viva intelligenza, grazie al catechismo, alle scuole serali, a feste e riffe diede un senso alla loro vita morale e religiosa. Valle di Pompei e i suoi abitanti assunsero un volto nuovo.
Tutto quello che stava avvenendo, però, era ancora sconosciuto al resto del mondo. Solo con il proliferarsi delle sue grandi Opere, fondate intorno al nascente Santuario del Rosario, e alle sue doti di grande comunicatore, la sua fama si diffuse in ogni angolo d’Italia e del mondo e da ogni dove giunsero le numerose offerte che gli permisero di costruire il Santuario, noto per il suo valore artistico, ma soprattutto per gli avvenimenti prodigiosi che ne hanno fatto sorgente di speranza e meta di innumerevoli e incessanti pellegrinaggi.
Il Beato divulgò, oltre al santo Rosario, anche la devozione alla Madonna di Pompei con la recita delle "Novene" d’impetrazione e di ringraziamento, con la pratica dei Quindici Sabati, e la recita, due volte l’anno, della "Supplica".
Il Santuario di Pompei è un "faro" luminoso che diffonde ovunque una luce potente, atta a risvegliare nei cuori la fiducia e la speranza. Raccontare o scrivere del Santuario e delle Opere, significa parlare del suo grande Fondatore e delle sue tantissime creazioni, scintille che si sprigionavano da quel cuore "santamente" vulcanico, colmo di "aspirazioni" e di "ispirazioni", con pensieri e sogni sempre freschi e belli.
Tra questi, il meraviglioso "Roseto della Madonna", realizzato con rose di ogni specie, donate dai tanti devoti della Madonna che risposero con entusiasmo al suo appello per mezzo del periodico "Il Rosario e la Nuova Pompei" (fondato nel 1884), i quali, da tutta Italia, offrirono piante di rose speciali.
Nel 1888, scriveva: "Ci è sorta in mente una nuova idea, di onorare la madonna e, son certo che anche quest’altra, Ella vorrà benedire. Ho divisato di piantare un roseto accanto al santuario, che servirà per mantenere sempre attorniata di fiori la nostra Regina. Così, le rose per il Trono
della Vergine non mancheranno giammai e le avrò belle e in abbondanza..." ("Bartolo Longo e il Santuario di Pompei" di Scotto di Pagliara, cap. XIX, pag. 109).
Con la testimonianza di cristiano autentico, lanciò, poi, un altro appello: realizzare presso il Santuario un altro roseto, ancora più bello e caro alla Madonna, con fiori profumati d’innocenza e di candore: la casa delle Orfanelle, un roseto spirituale dove le piccole innocenti accolte potessero diventare fiori e lampade viventi e palpitanti per intercedere grazie e prodigi presso il trono di Maria.
Così, nel 1887, nel mese delle rose e dei fiori, ebbe inizio la costruzione dell’Opera per le bambine orfane e abbandonate di ogni nazionalità e, l’8 maggio, in una solenne celebrazione in onore di Maria, fu accolta la prima Orfanella, si chiamava Maria ed era veneziana. Ad ottobre le Orfanelle erano già quindici, il Beato aveva così formato la Corona del "Rosario vivente".
La Contessa, sua consorte, fu madre affettuosa intelligente di queste bambine. Ma il numero delle Orfanelle cresceva prodigiosamente e urgeva molto aiuto. Alla Contessa si associarono, così, molte volontarie che accoglievano e curavano le bambine sfortunate.
A Valle di Pompei si lavorava alacremente perché la missione del beato verso il prossimo non fosse a "intervalli": Bartolo Longo era educatore dalla mattina alla sera. Era il compito assegnatogli dalla Divina Provvidenza, compito che animò con la fede e la preghiera, seguendo docilmente e virtuosamente la divina volontà e confidando soltanto sulle sue forze, le sue ingegnose risorse, continuando a sognare.
Nel 1891, infatti, Bartolo Longo levò il suo grido per la salvezza dei bimbi "orfani della legge".
Il mondo ne fu commosso: la carità trionfò. Il 29 maggio 1892, nasceva l’Istituto dei Figli dei Carcerati, "Opera di redenzione sociale", nonostante molte difficoltà e pregiudizi. Il Beato non era uomo da indietreggiare davanti agli ostacoli e, con animo eroico, proseguì nell’ardua Opera, educando questa infanzia con amore paterno, con la musica, la cultura, l’arte e l’insegnamento dei mestieri.
Diceva: "I figli dei carcerati sono anche i figli della Madonna di Pompei", (Il servo di Dio Bartolo Longo di E. Sperafico – Vol. 1°, pag. 281).
Ad Opera compiuta, disse: "Sembrò che il voto del mio cuore fosse come un campanello elettrico che avesse squillato per chiamare persone che già erano in attesa.  (…) e, come una madre stendesse le sue braccia ad accogliere una nuova classe di infelici" (Bartolo Longo "Il triplice trionfo della istituzione a pro dei Figli dei Carcerati", op. cit. pag. 17).
L’assistenza e l’educazione di questi fanciulli fu assegnata ai "Fratelli delle scuole Cristiane figli di san Giovanni Battista de la Salle", che ancora oggi svolgono questo compito. Nel frattempo, a
causa delle sue molteplici occupazioni, la Contessa non poteva più essere la Direttrice del Nuovo Orfanotrofio, né bastavano le sue giovani collaboratrici: c’era bisogno di aiuto. Ancora una volta, dall’intuizione del Beato scaturì la soluzione: fondare una Congregazione di Suore che si occupasse di queste bambine. Cosa difficilissima da attuare per un "laico", seppur di profonda fede cristiana. Con i consigli e l’incoraggiamento di Papa Leone XIII e il suo arduo cammino in giro per l’Italia in cerca di suggerimenti, consigli ed esempi per la sua futura Opera, finalmente, nel 1897, dopo essersi rivolto al Maestro Generale dei Domenicani, Padre Andrea Frühwrth, il 25 agosto del 1897, il Cardinale Mazzella, Vicario del Papa per il Santuario di Pompei, dichiarava eretta la Congregazione Regolare delle Suore del Terz’Ordine di San Domenico, sotto il titolo di "Figlie del Rosario di Pompei", alle quali consegnò il Rosario come insegna, come difesa, come titolo. Bartolo Longo aveva realizzato il Suo "nobile progetto". Il Beato, nelle sue "Opere", ha sperimentato e ha vissuto pienamente il pensiero di San Benedetto: "Nulla è impossibile per chi crede, nulla è difficile per chi ama".
(Autore: Tommasina Esposito)

*La preghiera mariana nella vita del Longo
La più semplice delle preghiere mariane segnerà tutta la vita dell'avvocato Bartolo Longo. Il rosario sarà lo strumento principe del suo impegno apostolico e della sua esperienza di fede e di carità da cui nacque la cittadella mariana di Pompei.  
Il rosario ha segnato tutta la vita il Beato Bartolo Longo. Egli stesso narra nei suoi scritti biografici di aver ricevuto la corona dalla mamma. Antonia Luparelli, e di aver imparato da lei a recitarla, in età tenerissima, se si pensa che a soli cinque anni era stato messo in collegio.
Più tardi, in età ormai adulta, dopo l’esperienza universitaria e qualche tempo dopo il suo arrivo nella Valle di Pompei, l’impegno della recita del rosario sarà determinato da una straordinaria ed intima esperienza interiore: "Se vuoi salvezza recita il rosario e propaga il rosario". Alla mamma terrena si sostituiva la Madre celeste, che in maniera personale e diretta amplificava, sia la devozione, sia l’impegno apostolico nel diffondere la preghiera mariana. Questa particolare esperienza vissuta dal Beato in via Arpaia, lo metteva in condizione di sperimentare una dimensione del rosario, fino ad allora a lui ignota: la semplice preghiera mariana diventava strumento di salvezza personale e strumento di apostolato per salvare gli altri.
Questo spiega il modo con cui Pompei è diventata la cittadella del rosario e il fatto che alla sua dimensione mariana vi hanno posto mano cielo e terra.
Il cielo: la Madonna con il suo intervento straordinario. La terra: il Papa Leone XIII il quale nel 1900 in occasione dell’anno Santo invitava i pellegrini a completare il loro pellegrinaggio venendo a Pompei, Papa Pecci a buon diritto può esser considerato il confondatore di questa città e del santuario. Bartolo Longo afferma, sono sue parole, che "… per esaltare e magnificare la Corona di Maria in tutti i popoli della terra, Egli dettò in quindici anni consecutivi quattordici Lettere Encicliche, un Decreto, un rescritto. E poi, ancora trentasei Brevi e decreti concernenti la novella Basilica dichiarandola Pontificia. Per siffatte ragioni l’immortale Pontefice Leone XIII sarà sempre ricordato nella storia della Chiesa universale per i secoli, con il titolo glorioso di novello Pontefice del rosario dopo San Pio V, e nella nostra Storia con il nome del più grande Protettore del Santuario di Pompei e dei suoi umili Fondatori".
Il Rosario è per Bartolo Longo un fascio di luce che lo guida, lo accompagna e lo segue. L’esperienza della recita del rosario gli fa constatare un continuo soccorso del cielo che si manifesta con episodi straordinari che lasciano tutti sorpresi e commossi. Tutti sono coinvolti in un rinnovato impegno di fede.
Lui stesso narrerà che prima dell’8 maggio 1876, giorno in cui fu posta la prima pietra del Santuario, la Madonna era intervenuta in maniera prodigiosa in ben cinque occasioni, dal 13 febbraio al 23 aprile 1876.
Il primo, il 13 febbraio 1876, quando Bartolo Longo festeggiava il giorno del suo battesimo. Compiva allora 35 anni e fondava a Pompei la confraternita del rosario a cui aderirono trecento pompeiani, e undici di loro, compreso il parroco, divennero terziari domenicani. Proprio in quel giorno, mentre veniva esposto il quadro per la prima volta sull’altare della povera parrocchia di Pompei, la Madonna a Napoli guariva istantaneamente Clorinda Lucarelli: una ragazzina di 12 anni che soffriva di una gravissima forma di epilessia. Era stata visitata dei grandi luminari del tempo: Cardarelli, Castronuovo, Farina; che concordemente avevano diagnosticato l’irreversibilità del male. Quel giorno, invece, Clorinda, guarì improvvisamente.
Poi, ancora, due miracoli: un mese dopo, lo stesso giorno, il tredici marzo del 1876, Bartolo Longo riceve la notizia da Latiano, suo paese nativo, che la mamma è moribonda. Comincia a pregare, fa pregare, e prima di partire corre a Pompei per avvisare don Gennaro Federico del suo improvviso viaggio. Giunto a Pompei trova il papà dell’amico, moribondo anche lui. Si misero a pregare tutti insieme, poi Bartolo Longo partì per Latiano: Il 19 di marzo la mamma di Bartolo Longo e il papà del sacerdote guarirono improvvisamente.
Il quarto miracolo è dovuto ad un atto di grandissima fede della contessa De Fusco. Un giorno, era il 3 aprile del 1876 la contessa si doveva recare a Margellina. Aveva fittato una carrozza e lungo la strada, non sa nemmeno lei perché, cambiò direzione e volle andare a Capodimonte. Strada facendo si fermò per visitare una signora che secondo lei, dice Bartolo Longo, "era molto elemosiniera". Andarono in questa casa e con grande loro sorpresa dovettero constatare che la figlia della signora, una ragazza di ventidue anni, per partorire il primo figlio stava morendo.
La contessa disse alla mamma e al marito della giovane sposa: "Se voi promettete di fare un’offerta per la chiesa di Pompei e verrete poi a Pompei a ringraziare la Madonna riceverete la grazia". Era presente il medico curante che intervenne dicendo: "come fa signora contessa a dire queste cose? La signora sta per morire, il caso è veramente disperato". E la contessa rispose: "Proprio per questo si fa la promessa, per vedere la potenza della Madonna"!
E difatti la signora guarì istantaneamente. Che cosa era avvenuto? La contessa tornata a casa tutta concitata si era messa a recitare il rosario di quindici decadi assieme ad altre persone: La risposta del cielo fu immediata, non una ma due grazie, erano salvi la mamma ed il bambino.
Alla notizia del fatto Don Bartolo commenta: "Niuno sa dire l’esultanza, il giubilo onde fummo presi, le lacrime di gioia, le grida di festa che emettemmo a sì fatto annuncio. Eravamo fuori di noi. Si uscì di casa, si andò dagli annunci, dai parenti a raccontare il fatto strano, mirabile, prodigioso. La Madonna concorreva dal cielo a sostenere la fede imprudente ed anche i passi avventati che noi davamo per l’opera sua".
L’ultimo miracolo, il 23 aprile di quell’anno, è fatto a un sacerdote il quale era ammalato di risipola e di cancrena, stava per morire. Per caso la contessa si trovò da quelle parti e fece la stessa proposta. Disse: "Se voi fate la promessa alla Madonna di dare l’offerta per la sua Chiesa di Pompei e di narrare la grazia, voi guarirete subito" e difatti il sacerdote guarì ma non adempì la promessa in quanto lui doveva recarsi a Pompei e ringraziare la Madonna e celebrare la Messa, invece, pensando che sarebbe la stessa cosa andò a celebrare l’eucarestia nella Chiesa dei Salesiani.
Quando, dopo un mese, don Bartolo e la contessa vollero andare a trovare il sacerdote e a chiedere notizie sul suo stato di salute, lo trovarono moribondo un’altra volta.
Al vederlo in quelle condizioni gli domandarono cosa era successo e se avesse adempiuto agli obblighi per i quali si era impegnato. Lui rispose di sì e di avere celebrato la Messa a Napoli. Ma questa non era la promessa fatta alla Madonna.
Rinnovò il voto e immediatamente guarì. E così fu posta la prima pietra del Santuario dopo cinque miracoli e Bartolo Longo pensando a questi cinque miracoli diceva: "Guarda un po’ un rosario intero di miracoli prima ancora che mettessimo la prima pietra della Basilica".
Negli anni successivi (quindici) la Madonna gli fece quindici miracoli portentosi. Qui parliamo di miracoli, le grazie erano a migliaia. Voglio raccontarne solo qualcuno.
Una notte i ladri rubarono tutti gli attrezzi da lavoro, c’erano solo i muri perimetrali senza nessuna chiusura, si poteva entrare con tutta libertà. Bartolo Longo sii trovò in condizioni difficili, disagiate, perché quel materiale rubato costava moltissimo.
Lanciò un manifestino comunicando la necessità di questo portone il cui costo era di cinquecento lire. Mandò in giro questi volantini e un giorno gli si presentò un signore il quale gli disse: "Io avevo un figlio moribondo, ho letto il vostro volantino e ho detto alla Madonna: "se mi fai guarire mio figlio io ti regalo il portone. La Madonna il giorno dopo la richiesta di grazia che io ho fatto, mi ha accontentato ed io vengo a mantenere la promessa e non solo dono le cinquecento lire ma offro altre duecento lire che aggiungo come segno di gratitudine".
Il santuario è tutto un miracolo. La cupola del Santuario aveva bisogno di essere gettata in una fase sola e per fare questo lavoro ci volevano diecimila lire.
Le diecimila lire del 1877-78 possiamo immaginare che valore potessero avere e Don Bartolo pregava la Madonna che gli facesse arrivare questa somma.
Un giorno lo mandò a chiamare il Vescovo di Nola e gli disse che si era presentato un signore e gli aveva offerto le diecimila lire. Bartolo Longo restò meravigliato e accettò l’offerta così la cupola fu fatta. Ci sarebbe da parlare anche di tutti gli altari ma mi voglio fermare ai confessionali.
Un giorno si presentò a Bartolo Longo un signore molto distinto il quale gli disse: "Vorrei fare qualcosa per la vostra chiesa, che cosa vi manca"? E Don Bartolo gli disse: "Vorrei fare dei confessionali da mettere nei pilastri della chiesa, però li vorrei belli come i confessionali delle Basiliche romane".
Quel signore gli consegnò un sacchetto con cento napoleoni d’oro. Bartolo Longo restò meravigliato e disse: "Guardate che questa somma è troppa, perché fate questo"?
E quegli rispose: "Io ho chiesta alla Madonna una grazia e sono sicuro che me la farà, per questo la ringrazio ancora prima di riceverla".
Quando Bartolo Longo comincia a creare gli Istituti, il rosario diventa progetto educativo specialmente per le figlie dei carcerati e in modo particolarissimo per i figli dei carcerati. "Ora et labora". E mise al collo dei ragazzi la corona del rosario perché doveva essere la custodia, la salvezza, il sigillo del possesso della Madonna.
Con il rosario Bartolo Longo entrò nelle carceri, si mise in contatto con più di trecento bagni penali in Italia e all’estero.
Tutti gli scrivevano, tutti corrispondevano e tutti recitavano il rosario. La riforma carceraria in Italia è partita da Bartolo Longo, è partita da Pompei.
Fino al 1940 i carcerati non potevano essere visitati se non in circostanze gravissime. Ebbene da Pompei sono cominciate le visite alle carceri. I nostri ragazzi e ragazze andavano nei luoghi di pena d’Italia per visitare i genitori ed erano momenti commoventissimi.
Queste visite servivano a rincuorare i genitori perché sapevano che i loro figli erano al sicuro, erano trattati bene, sarebbero usciti dal collegio in condizioni da poter affrontare la vita dignitosamente. Per Bartolo Longo il rosario è il più popolare dei catechismi. E quando lui, un laico, crea la Congregazione delle Suore Domenicane "Figlie del Santo Rosario di Pompei", dona il rosario come strumento di apostolato dice: "… esse hanno il rosario per insegna, per difesa, per titolo".
Ripeteva sempre: "… recitiamo il rosario e recitiamolo possibilmente in comune, facciamo recitare soprattutto agli innocenti bimbi, facciamolo dire ai nostri uomini assorbiti nell’interesse terreno e distratti dalle terrene occupazioni nel turbinio della vita quotidiana".
Per Bartolo Longo il rosario è tutto. Sono sue queste parole: "O corona del rosario della Madre mia, ti stringo al petto e ti bacio con venerazione. Tu sei la via per raggiungere ogni virtù".
Bartolo Longo è un santo, è il santo della carità, è il santo della castità, è il santo della bontà, è il santo della fede, è il santo della speranza: tutto questo lo ha potuto conseguire con la recita del rosario che è per lui il tesoro dei meriti per il paradiso.
Attraverso il rosario si raggiunge il Paradiso perché ci si mette alla scuola di Cristo e di Maria SS.ma e il rosario diventa scuola, diventa luce, diventa aiuto e sostegno. Il rosario è "il pegno della mia predestinazione".
Bartolo Longo è convinto che con il rosario si salverà e del resto la Madonna glielo aveva preannunciato.
Quante battaglie ha dovuto sostenere Bartolo Longo, ricordiamo la lotta con i fautori della scuola dell’antropologia criminale dell’epoca, secondo i quali, il destino dei figli dei detenuti è irrevocabile; per legge ineluttabile di ereditarietà, prima o poi, i figli cadranno nei delitti dei genitori.
Bartolo Longo da giurista quale era, seguace della scuola classica del Diritto Penale italiano, grande avvocato e soprattutto uomo di immensa fede, volle dimostrare con i fatti che quelle teorie erano false ed offendevano Dio e l’uomo.
Ai figli del delitto e del peccato, condannati dalla scienza e ignorati dalla società, aprì il suo grande cuore, la sua eccelsa mente e le porte dei suoi Istituti, li educò con un amore profondo e soprannaturale e ne fece cristiani convinti e cittadini esemplari. Il primo dei ragazzi, figlio di un
assassino, venuto a Pompei, è diventato sacerdote ed è morto pochi anni or sono (siamo nel 1998).
Quanti Rosari ha recitato Bartolo Longo, quanti ne ha fatti recitare! Nel 1910 volle creare la "Pia Unione per la recita del rosario in comune e nelle famiglia" ed il "Rosario Perpetuo" in tutto il mondo. Il primo iscritto fu San Pio X e dopo furono 5 milioni di persone che si iscrissero per stringersi in ginocchio attorno alla Madonna, cantarne le glorie e dirle grazie.
Negli ultimi anni della vita del Beato quando qualcuno gli si inginocchiava davanti chiedendogli la benedizione gli metteva la sua grande corona attorno al capo e diceva: "Ti benedica il Signore con questa corona con la quale sarai coronato un giorno in paradiso, per sempre".
Dal cielo Don Bartolo Longo benedica anche noi e ci ottenga la grazia di recitare il rosario con la sua fede, il suo fervore, la sua passione per essere un giorno coronati di gloria in Paradiso.
(Autore: Raffaele Matrone)

*Il Beato Bartolo Longo e l'affidamento a Maria

“Se cerchi salvezza, propaga il Rosario” - 4
Nel vissuto spirituale del Beato si ritrovano tutti i tratti del cammino mistico, percorso attraverso la preghiera del Rosario. Sebbene ogni santo sia unico e irripetibile, come unica e irripetibile è ogni persona umana, tuttavia esistono delle costanti spirituali che accomunano i percorsi mistici, e nella fattispecie i mistici mariani.
Seguendo le indicazioni di Teresa d’Avila (1515-1582) e di Giovanni della Croce (1542-1591) e dal confronto con le esperienze mistico-mariane di altri santi, come, ad esempio, Veronica Giuliani (1660-1727), Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), Maria di Santa Teresa (1623-1677), Maria d’Àgreda (1602-1665), Maria Antonietta de Geuser (1889-1918), si possono ritrovare nel vissuto spirituale di Bartolo Longo tutti i tratti del cammino mistico, nelle sue varie tappe percorse attraverso l’orazione del Rosario. Sebbene ogni santo sia unico e irripetibile, come unica e irripetibile è ogni persona umana, tuttavia esistono delle costanti spirituali che accomunano i percorsi mistici, e nella fattispecie i mistici mariani. La prima costante che si impone alla nostra attenzione è l’atto di consacrazione-affidamento a Maria, il quale, vissuto a fondo, permette alla persona di fare il passaggio da una «vita di unione ordinaria» con Maria a una «vita di unione mistica» con la Madre di Gesù, «transizione» che segna l’iniziazione ai vari gradi della mistica mariana. Veronica Giuliani e Massimiliano Maria Kolbe testimoniano attraverso il racconto della loro esperienza il salto di qualità spirituale che il cristiano può compiere nel momento in cui affida tutto il suo essere nelle mani di Maria. Bartolo Longo fa questa donazione di sé stesso alla Vergine nel 1867. Infatti, dopo l’ascolto attento di un corso di predicazione sull’Immacolata, tenuto dal gesuita padre Carlo Rossi proprio in quell’anno, il Beato annota le seguenti risoluzioni: «Rendere immacolato e donare a Maria il nostro spirito, con la fede congiunta alle opere; il nostro cuore, col domare la passione predominante; le nostre opere, coll’aver la mente sempre all’ultimo fine che è Dio; il nostro corpo, col castigarlo per vendicare Iddio offeso da esso, perché lo spirito ne abbia sempre il dominio, e per acquistar meriti per esso, il quale dovrà essere rilucente e bello nella fine del mondo per un’eternità». Inoltre, la consacrazione-affidamento a Maria secondo l’insegnamento di San Luigi Maria Grignion de Montfort risulta assimilata dal Beato, considerando la presenza nella sua biblioteca personale del Trattato della vera devozione a Maria del Montfort che porta la data del 1872. La seconda costante che emerge è la presenza della purificazione passiva dell’anima, che san Giovanni della Croce identifica come notte oscura dei sensi (la quale segna l’inizio della fase mistica e il passaggio dalla meditazione alla contemplazione, caratterizzata dalla passività) e notte oscura dello spirito. Santa Veronica racconta nel suo Diario l’esperienza della purificazione passiva dei sensi e dello spirito sostenuta con Maria, presente e operante nella sua anima. Anche il nostro Beato vive la fase della purificazione passiva dei sensi, i cui segni appaiono nel racconto autobiografico dell’esperienza mistica di contrada Arpaia del 1872 (la locutio interior, che può essere messa a confronto con la celebre «illuminazione interiore» vissuta da sant’Ignazio di Loyola, nel 1522, a Manresa, nei pressi del fiume Cardoner), punto di snodo del suo percorso spirituale, e la purificazione passiva dello spirito, inquadrata nei due periodi corrispondenti agli anni 1881-1885 e 1903-1905. Anche Bartolo Longo vivrà queste esperienze dolorose alla presenza di Maria, che lo sosterrà in ogni sua lotta interiore. La terza costante è la preghiera passiva. Teresa d’Avila individua nel raccoglimento infuso il primo grado della contemplazione mistica. Veronica Giuliani si sente introdotta da Maria nella preghiera passiva, e avverte che
Dio sta dando alla sua anima un nuovo principio di operazione. Per Bartolo Longo questo nuovo principio di operazione corrisponde a quello che possiamo chiamare il «Rosario mistico di Maria», che equivale alla «vita di unione mistica con Maria». Tante sono le testimonianze, rinvenute soprattutto dalle Positio, che raccontano la preghiera del Rosario vissuta dal Beato come preghiera passiva, nei suoi vari gradi, fino al fidanzamento spirituale e all’unione trasformante (matrimonio spirituale), secondo le indicazioni che Teresa d’Avila ci dà nel Castello interiore. Maria Antonietta de Geuser, nelle Lettere, racconta l’unione trasformante con la Trinità, mettendola in relazione con la sua trasformazione in Maria, che le permette di essere perfettamente cristificata e quindi di procedere verso la «consumazione nell’Unità». Anche il nostro Beato fa l’esperienza della presenza di Maria nel più alto grado della contemplazione mistica. Ricordiamo la testimonianza di don Eduardo Alberto Fabozzi che afferma: «L’aspetto di don Bartolo nella preghiera non era di persona comune e nemmeno di persona semplicemente pia. Sembrava trasumanato, specie quando recitava il Rosario dinanzi alla Madonna di Pompei o dinanzi al SS.mo Sacramento» (Positio 1974). La vita dell’apostolo del Rosario di Valle di Pompei si chiude con un ultimo atto di affidamento a Maria, che assume in questo contesto il significato della piena marianizzazione, sul piano esistenziale, del suo essere. Affidamento a Maria a cui è associata una «visione superna», come ci riporta la testimonianza di monsignor Luigi Sacchi, suo padre spirituale, che lo assistette pochi giorni prima che morisse.

(Autore: Salvatore Sorrentino)

*Il cammino di B.Longo verso la canonizzazione
Abbiamo posto qualche domanda a Monsignor Pietro Caggiano, dall’11 aprile vicepostulatore per la causa del Fondatore del Santuario. Manca ancora un miracolo al riconoscimento ufficiale della Chiesa, ma, per i devoti della Madonna di Pompei, l’Avvocato di Latiano è già santo.
Dall’11 aprile scorso, Monsignor Pietro Caggiano è il nuovo vicepostulatore per la causa di canonizzazione del Beato Bartolo Longo. È subentrato a Monsignor Raffaele Matrone, che finora ha ricoperto l’incarico con passione portando avanti un lavoro quotidiano di ricerca e promozione della devozione al Fondatore del Santuario.
Al nuovo vicepostulatore abbiamo voluto fare alcune domande per comprendere più a fondo il senso del ruolo che ha assunto due mesi fa, dopo essere stato nominato dal Postulatore generale dei Redentoristi, Padre Antonio Marrazzo. Monsignor Caggiano, in cosa consiste il ruolo di vicepostulatore? Il mio compiuto sarà quello di occuparmi di incrementare il culto al Beato Bartolo Longo, verificando se, tra le grazie operate per intercessione del Fondatore, possa esservi qualche caso che possa considerarsi straordinario, in pratica non spiegabile secondo le attuali conoscenze della scienza. In più dovrò gestire il fondo economico della causa, da utilizzare per le spese processuali e la diffusione della fama di santità.
Nel mio ruolo dovrò anche ricevere e valutare le lettere che i fedeli invieranno per raccontare le grazie elargite per intercessione del Beato e sarò presidente dell’Associazione "Amici di Bartolo Longo". Qual è la storia dell’iter di beatificazione e canonizzazione dell’avvocato di Latiano? Bartolo Longo morì il 5 ottobre 1926. Il processo canonico per la sua beatificazione iniziò il 7 maggio
1934. In questa prima fase, che si svolse a livello diocesano, una Commissione teologica analizzò ogni scritto del servo di Dio, ma valutò anche testimonianze dirette di chi lo conobbe e procedette ad un’analisi delle lettere dei devoti e ad un esame storico della vita del Fondatore.
L’eroicità delle virtù fu dichiarata da Papa Paolo VI il 3 ottobre 1975, mentre fu proclamato Beato da Papa Giovanni Paolo II il
26 ottobre 1980. Ora si attende solo un miracolo che possa finalmente consentire di riconoscere la santità di Bartolo Longo. Quand’è che si può parlare di miracolo?
Il miracolo è senza dubbio un fatto ed è un fatto prodigioso.
Ci sono alcuni elementi che consentono di riconoscere la straordinarietà di questo fatto, legato inevitabilmente alla guarigione da una malattia fisica e non psicologica (in questo caso la valutazione nella prospettiva della canonizzazione sarebbe impossibile).
Ebbene il miracolo è improvviso ed istantaneo. In più va oltre la legge fisica secondo la valutazione di una commissione medica che opera presso la Congregazione delle cause dei santi. Solo quando si ha, con un decreto specifico, l’approvazione della commissione medica il fatto ritenuto miracoloso è presentato Papa, cui spetta l’ultima parola. Al Santo Padre è anche concesso beatificare o canonizzare in assenza di miracolo. È quel che è successo con San Giovanni XXIII, la cui fama di santità era tale da permettere l’eccezione di questo elemento. Riceviamo tantissime lettere in cui i nostri lettori ci raccontano di grazie ricevute.
Che differenza c’è tra una grazia e un miracolo? In entrambi i casi siamo in presenza di un fatto. Vi è grazia quando si ritiene di aver beneficiato dell’intercessione di un santo nella propria interpretazione personale: uno studente che arriva alla laurea per cui ha tanto penato, una donna che aspetta un bimbo quando non ci sperava più, un disoccupato che riesce finalmente a trovare un’occupazione o un lavoratore che riesce a conservare il proprio posto superando il pericolo di un licenziamento. Vi è miracolo quando si è in presenza di un prodigio che nessuno sa spiegare, nemmeno i medici.
Quale legame deve esistere tra l’evento prodigioso e il servo di Dio o il beato che si ritiene abbia interceduto presso Dio? La preghiera deve essere rivolta a quel determinato servo di Dio o beato. È ovvio che, per esempio, nel caso di Padre Pio, il fedele è portato a rivolgersi direttamente al Santo cappuccino. Invece Bartolo Longo si è messo in penombra sin dagli inizi, lasciando la
Madonna al primo posto. Hanno vissuto "in sinergia" e in sinergia continuano a vivere. Esiste una sorta di simbiosi, ma è sempre Maria Santissima al centro e diventa difficile distinguere quando l’intercessione è stata di Bartolo Longo e quando lo è stata della Vergine.
Fino a pochi anni fa molti devoti arrivavano a Pompei per pregare ai piedi di Maria, ma non conoscevano nemmeno Bartolo Longo. E la conoscenza è fondamentale perché più si conosce il santo e più gli si chiedono grazie. Oggi tra l’altro è sempre più vivo il desiderio popolare che la Chiesa riconosca la santità del Fondatore.
Di recente alcuni devoti hanno raccolto firme, inviate poi al Papa, per chiedere di concedere la canonizzazione. Devo anche dire che, a prescindere da tutto, la devozione popolare già ritiene Bartolo Longo un santo. Ed è un pensiero che accomuna tutti i pellegrini che arrivano nella città mariana, oltre due milioni di persone ogni anno.
La Chiesa, però, vuole giustamente che sia rispettato l’iter per "canonizzare" la santità, per riconoscerla ufficialmente. Il fine è "garantire" la fede.

(Autore: Giuseppe pecorelli)

*Preghiera per la canonizzazione del Beato Bartolo Longo
Dio, Padre di misericordia,* noi ti lodiamo

per aver donato alla storia degli uomini
il Beato Bartolo Longo,
*
ardente apostolo del Rosario
*
e luminoso esempio di laico impegnato
*
nella testimonianza evangelica
della fede e della carità.
Noi ti ringraziamo per il suo straordinario cammino
Spirituale,
* le sue intuizioni profetiche,*
Il suo instancabile prodigarsi per gli ultimi
E gli emarginati,
*
La dedizione con cui servì filialmente la tua Chiesa
*
E costruì la nuova città dell’amore a Pompei.
Noi ti preghiamo, fa’ che il Beato Bartolo Longo
*
Sia presto annoverato tra i Santi
Della Chiesa universale,
*
Perché tutti possano seguirlo come modello
Di vita
* e godere della sua intercessione.

*La via del miracolo per la beatificazione di Bartolo Longo
Monsignor Pietro Caggiano, Vice Postulatore della causa di canonizzazione del Fondatore del santuario, racconta il miracolo che portò Longo alla beatificazione, celebrata da San Giovanni Paolo II il 26 ottobre 1980. A beneficiarne una donna, Carmen Rocco Camera. Era il 1943.
É conosciuto e creduto che l'autore che l’autore di ogni miracolo è Dio. Solo Lui ha il potere di "bloccare la legge naturale" per fare il dono ad una persona. Si dice pure che "il Signore fa cose diritte sulle nostre linee storte".
Sembra che il miracolo che ha portato alla beatificazione il nostro Fondatore Bartolo Longo abbia seguito questa via.
Nel 1934, l’allora Arcivescovo di Pompei, Antonio Anastasio Rossi, avviò la causa di beatificazione e canonizzazione di Bartolo Longo – morto da otto anni. Monsignor Rossi, desiderando avvalersi dell’opera di un agiografo o scrittore della vita dei santi, si rivolse ai Padri Concezionisti di Roma, che conosceva bene perché lo avevano ospitato in gioventù.
Essi gli presentarono il noto Padre barnabita Eufrasio M. Spreafico che aveva portato avanti il medesimo compito per Padre Luigi Maria Monti, loro fondatore. Il 30 gennaio 1941 gli fu dato l’incarico di ordinare l’archivio usando poi i documenti per scrivere la vita di Bartolo Longo. L’opera era complessa: nei circa cinquantacinque anni trascorsi a Pompei, Longo, attento avvocato, aveva accumulato un immenso materiale letterario, tra preghiere, lettere, libri e testi vari. A ciò il Prelato desiderava associare le deposizioni dei testimoni oculari nella causa di beatificazione, in modo da produrre una biografia di qualità ed una credibile ed accattivante storia dell’eccezionale Avvocato, devoto della Madonna del Rosario al servizio dei poveri.
La Signora Gemma Rocco Camera aiutava Padre Spreafico nell’ordinare l’archivio del Santuario e nella compilazione della vita di Bartolo Longo.
Nel 1943, tra fine febbraio ed inizio aprile, sua cognata Carmen si ammalò gravemente ed ella ne parlò con Padre Spreafico, come racconta lei stessa nella deposizione per la causa di canonizzazione di Bartolo Longo: "Un giorno che mi trovai a parlare col Padre Spreafico, gli dissi di mia cognata; qualche giorno dopo egli mi scrisse di far ricorso all’intercessione di Bartolo Longo, cominciando una novena alla Madonna di Pompei, domandandole che per l’intercessione  di Bartolo Longo ci ottenesse da Dio la guarigione. Mi mandò anche un’immagine del Servo di Dio con un piccolo brano dei suoi indumenti.
Cominciammo subito la prima delle tre novene, io e Carmen, associandosi le persone che
eventualmente si trovavano nella camera ove giaceva mia cognata… Finita la terza novena senza che nessun miglioramento si verificasse e avendone scritto sconfortata al Padre Spreafico, ne ebbi in risposta per lettera il consiglio di continuare le preghiere con maggior fiducia. Cosa che feci". (Teste VI – Summ., pp. 35-36, § 84).
L’ing. Umberto Camera, anche lui teste nella causa, dichiarò: "Dopo che mia moglie ebbe il collasso di cui ho parlato, io cominciai una novena in onore della Madonna di Pompei domandando la guarigione di mia moglie. Nel corso di questa novena, mia sorella Gemma mi consigliò di domandare anche l’intercessione di Bartolo Longo, per il quale era in corso un processo per la sua beatificazione e mi consegnò un’immagine di lui con una preghiera a tergo… Non ho invocato la intercessione di nessun altro santo, beato o servo di Dio": (Teste I Summ. P. 9 § 8). La sanata Carmen Rocco Camera dichiarò: "Ho già detto che la mia malattia era di gravità estrema. Nessuno mi aveva detto se potevo o no guarire, ma con la mia lucidità di mente capivo bene che non potendomi alimentare come era necessario e non dando alcuna utilità le cure che mi si facevano, poche speranze mi rimanevano di guarigione. Io stesso ho domandato più volte che mi si portasse la Santissima Comunione che mi fu portata dal cappellano… non mi fu amministrata l’estrema unzione… mia cognata Gemma Rocco Camera… per consiglio dello stesso Padre Spreafico, volle che fosse invocata la intercessione di Bartolo Longo per la mia guarigione e in effetti cominciammo, io e lei, una novena alla Madonna di Pompei, aggiungendo la preghiera che è a tergo dell’immagine di Bartolo Longo.
Essa leggeva le preghiere ed io la seguivo come potevo, piena però la fiducia di ottenere quanto cercavamo. Sotto il cuscino avevo l’immagine del Servo di Dio. Non ho invocato altri santi, beati o servi di Dio" (Teste IV – Summ. Pp. 23-24 § 47-28).
Padre Spreafico, nell’apprendere della malattia della Signora Carmen, le scrisse due lettere (18-02-1943) per incoraggiarla a ricorrere all’intercessione di Bartolo Longo e le inviò un’immagine con reliquia "da indumenti" (ex indumentis) del Servo di Dio (Summ. Pp. 53-54).
Il Dott. Matteo Petraroia, medico curante, scrisse la relazione sulla malattia e sulla guarigione della signora Carmen. Nel mese di febbraio 1943, nei giorni 13,16 e 24, a causa di uno stato generale grave e preoccupante, chiese un consulto medico. Il prof. Di Guglielmo fece una diagnosi di spiccata ipotensione Mx. 85, Mn. 55 – stomatite – su-bittero – fegato medicamente ingrandito. Il 28 marzo: paresi agli arti superiori ed inferiori; stato anemico fortemente accentuato. Il 1° aprile, il prof. Angelini, dopo un esame del sangue (globuli rossi 1.600.000, globuli bianchi 7.800, emoglobina 40, valore globulare 1.24), la ritenne ormai prossima alla morte.
La guarigione, nonostante la lunga durata della malattia, fu istantanea: scomparvero diarrea, nausea, vomito e problemi al sistema nervoso. Dopo qualche giorno l’ammalata si alzò dal letto; nei giorni seguenti si intrattenne in terrazza e rapidamente poté ritornare alla sua attività di madre di famiglia. Raccontare nei dettagli questo miracolo ci aiuta ad avere ancora più fede nel nostro Beato e ad essere più costanti nel pregarlo per le necessità nostre, delle nostre famiglie e di chi si affida alle nostre preghiere.
Allo stesso tempo, possiamo diffondere il culto per il Fondatore di Pompei, la cui fama di santità va crescendo nel mondo.
In questo modo un numero sempre più grande di persone si rivolgerà a lui per vedere esaudita una sua richiesta di grazia e, al più presto, come tutti noi devoti della Madonna di Pompei speriamo, il Signore Iddio vorrà concedere ad una persona sofferente un nuovo miracolo per intercessione del Beato Bartolo Longo, aprendo, così la strada alla sua canonizzazione.

(Autore: Pietro Caggiano)

*40 Anni dalla Beatificazione di Bartolo Longo

«La sua esistenza fu un intenso servizio alla Chiesa per amore di Maria»

I 40 anni dalla Beatificazione di Bartolo Longo 1980 - 26 ottobre – 2020
Il 26 ottobre 1980, San Giovanni Paolo II celebrava la beatificazione di Bartolo
Longo in Piazza San Pietro. Sono trascorsi quarant’anni da quel giorno, scolpito nella storia del Santuario e della Città di Pompei, ma il Beato continua a parlare di Fede e di Carità agli uomini di oggi. In occasione dell’anniversario, l’Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, ha
scritto una Lettera alla Città dal titolo "L’oggi di Dio e i segni dei tempi in un mondo che cambia". «Guardando a Bartolo Longo – ha scritto tra l’altro il Prelato – possiamo trovare anche oggi, nel difficile momento che stiamo vivendo, la forza e l’ispirazione per dare nuovo slancio al nostro impegno personale, ecclesiale e sociale».
(San Giovanni Paolo II)
26 ottobre 1980. È una data scolpita nella storia del Santuario. Centocinquantamila persone parteciparono in piazza San Pietro alla Beatificazione del Fondatore del Santuario, presieduta da San Giovanni Paolo II. A guidare la moltitudine di devoti della Madonna di Pompei fu l’allora Arcivescovo Prelato, Monsignor Domenico Vacchiano, e, con lui, il suo predecessore, il compianto Monsignor Aurelio Signora.
E quel giorno don Bartolo fu proclamato Beato
Il campanone di San Pietro, intanto, si è fatto sentire con le sue note vigorose e dolci e alle 9.30 in punto è apparso il Papa. Ad attenderlo c’erano trentacinque Cardinali e circa cento tra Arcivescovi e Vescovi europei, americani e asiatici. Centocinquantamila persone raccolte in mistico e appassionato silenzio, un cielo sempre più luminoso e terso, una colomba bianca nel cielo e le voci angeliche dei cantori della Cappella Sistina». L’ultimo numero de "Il Rosario e la Nuova Pompei" del 1980 raccontava così la giornata storica del 26 ottobre di quell’anno quando San Giovanni Paolo II, in una piazza San Pietro invasa dai fedeli, celebrò la beatificazione di Bartolo Longo, che salì agli onori degli altari insieme a don Luigi Orione e a Suor Maria Anna Sala.
La famiglia del Santuario era presente al gran completo. C’erano gli alunni dell’Istituto "Bartolo Longo" nelle loro divise nuove, i piccoli ospiti dell’Istituto "Assunta Ponzo", le orfanelle, i Fratelli delle Scuole Cristiane, le Suore Domenicane "Figlie del Santo Rosario di Pompei", gli associati delle vivaci aggregazioni laicali della città mariana, gli ex alunni delle Opere sociali, i parroci e tutto il clero pompeiano. A guidare il "popolo di Maria", migliaia di persone giunte da innumerevoli città e nazioni, era l’allora Prelato, Monsignor Domenico Vacchiano, al quale, secondo il rito, spettò la gioia di domandare al Santo
Padre di procedere alla beatificazione. Insieme a lui era presente l’Arcivescovo emerito,
Monsignor Aurelio Signora, che pur nell’austerità della sua figura tradiva la profonda commozione nel vedere beatificato don Bartolo, che aveva conosciuto e amato attraverso lo studio degli scritti e delle opere, nei suoi lunghi anni di episcopato in terra mariana, dal 1957 al 1978. L’emozione fu grande quando Papa Wojtyla pronunciò la formula di beatificazione e fu svelato l’arazzo issato sulla parte destra della facciata della Basilica. Un’ovazione accolse quel momento storico mentre s’innalzava il canto del "Gloria in excelsis Deo" e veniva scoperta l’immagine del novello Beato Bartolo Longo circondato dai ragazzi, che tanto aveva amato.
Alle spalle del Fondatore si distingueva l’Immagine sublime della Madonna di Pompei, immersa in una luce possente, mentre affidava la corona del Rosario a Santa Caterina da Siena e suo figlio Gesù, seduto sulle ginocchia materne, faceva altrettanto con San Domenico di Guzmán.
«Se propaghi il Rosario, sarai salvo!» era stata l’ispirazione interiore che Longo aveva sentito nell’ottobre 1872 mentre camminava nell’allora Valle derelitta. Ma la Provvidenza si era dimostrata ancora più generosa e non solo mantenne la promessa di salvezza, ma andò oltre fino
ad accompagnarlo alla beatitudine in Cielo. Tra i momenti del rito più carichi di significato vi fu la consegna dei doni, attraverso i quali Pompei rivelò, nei simboli, che il suo secondo nome era (ed è) carità. La Schola cantorum elevò il suo canto di offertorio mentre il comitato civico della città mariana consegnò, perché fossero messi a servizio della vita nascente, un reparto mobile di pediatria con apparecchiature per combattere l’ittero e mezzi per un intervento chirurgico, una culla termostatica trasportabile e due incubatrici. Un commerciante pompeiano donò un cammeo. E poi ancora fu portato all’altare un bassorilievo del volto del Beato e sei asciugamani ricamati, dodici tovaglioli e un mensale con lo stemma del Pontefice, che avevano cucito e ricamato le Suore Domenicane insieme alle orfanelle. I giovani ospiti dell’Istituto Bartolo Longo, poi, vollero donare un Crocifisso con candelieri che loro stessi avevano realizzato. A margine dell’evento, sulle pagine del nostro periodico, l’Arcivescovo Vacchiano commentò: «Ora dal cielo rivolge a tutti noi, figli e discendenti di quei primi benefattori, lo stesso invito, lo stesso messaggio di fede operante attraverso la carità (…). Che il suo messaggio trovi conferma e rispondenza nella disponibilità verso i fratelli bisognosi, verso i fratelli più piccoli anche da parte nostra per partecipare con lui alla gioia del Regno».
(Autore Giuseppe Pecorelli)
L’Arcivescovo Caputo pubblica una lettera per i 40 anni dalla Beatificazione di B. L.
Nel documento, l’esortazione del Prelato a vivere questo tempo di crisi come un’occasione per ricostruire l’umanità su basi nuove
"L’oggi di Dio e i segni dei tempi in un mondo che cambia" è il titolo della Lettera che l’Arcivescovo di Pompei, Tommaso Caputo, ha scritto per il 40° anniversario dalla Beatificazione di Bartolo Longo, il fondatore della città mariana, alla quale il messaggio del Prelato si rivolge in maniera particolare. Si tratta, in realtà, di un vero e proprio documento che, prendendo spunto dalla significativa ricorrenza, e proprio alla luce dell’esperienza e del carisma del Fondatore, allarga lo sguardo al mondo intero, posto di fronte a una crisi inattesa e misteriosa, con risvolti che vanno anche oltre i drammatici aspetti sanitari ed economici.
Sotto osservazione è particolarmente la realtà del Mezzogiorno, l’area in cui vive e opera il Santuario mariano, già penalizzata da problemi e mali antichi che continuano a rallentarne un organico sviluppo. A rendere più acuta l’emergenza è ora l’irruzione di un "avversario" che non fa
sconti e che, per le dimensioni dell’offensiva, porta in primo piano una serie di "segni dei tempi". «C’è voluto tempo – scrive Caputo – per renderci conto che l’attacco della pandemia era a tutto campo. E che, oltre a quello sanitario, il primo fronte riguardava la nostra stessa condizione, il nostro modo di stare al mondo, di relazionarci con esso, come abitanti di una casa comune che improvvisamente veniva a trovarsi sotto assedio».
Tornano alla mente le parole di Papa Francesco all’Angelus del 31 maggio: «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla». Il tempo della crisi è anche quello delle scelte, delle decisioni in una fase storica in cui assistiamo a un evidente cambiamento d’epoca. Dalla crisi dovrà scaturire un’umanità migliore.
Lo dobbiamo anche alle vittime di questa pandemia. «Anche a Pompei è toccato lo strazio degli addii distanziati ai nostri cari», ricorda l’arcivescovo. È il tempo dell’impegno, della responsabilità, dell’accantonamento del criterio accomodante del «si è fatto sempre così», della Chiesa che deve dimostrare di non essere un «corpo separato dalla società», ma aprirsi «ancora di più agli altri e rinnovare nei confronti delle realtà che ci circondano quello sguardo caloroso che, particolarmente dal Concilio in poi, ha caratterizzato il suo atteggiamento verso il mondo».
Pompei, la sua storia, la vicenda personale del Fondatore, hanno tanto da insegnare soprattutto nella scelta preferenziale per gli ultimi in una prospettiva di giustizia sociale, un orizzonte che riguarda non solo i credenti, ma tutti gli uomini e le donne di buona volontà. «Guardando a Bartolo Longo – afferma ancora Caputo – possiamo trovare anche oggi, nel difficile momento che stiamo vivendo, la forza e l’ispirazione per dare nuovo slancio al nostro impegno personale, ecclesiale e sociale. Non possiamo e non dobbiamo lasciarci abbattere dai problemi e dalle incognite che vorrebbero impedirci di realizzare la nostra inequivocabile vocazione: annunciare il Vangelo e portare avanti l’opera del Beato Bartolo Longo».
E se il Fondatore, arrivato nell’allora Valle di Pompei nel 1872, non trovò altro che desolazione e una terra abitata solo da uno sparuto gruppo di contadini che sopravvivevano tra miseria, malaria e briganti, così oggi l’Italia e il mondo vivono il tempo di una necessaria ricostruzione, che richiama il valore della responsabilità, spesso mandato in esilio dalle nostre comunità. Per l’ampiezza dei contenuti, la Lettera è un passaggio cruciale nella vita di Pompei perché ricollega l’esperienza del Beato Bartolo Longo alle vicende dell’ultimo quarantennio, aprendo, soprattutto sul piano pastorale, nuovi orizzonti sugli anni che verranno.

Pompei, 15 settembre 2020
L’Omelia nel giorno della Beatificazione

"Bartolo Longo, intercedi per la Chiesa che hai tanto amato"
Il "Covid-19" di quel tempo e di quelle zone era costituito dalla miseria e dalla ignoranza che dilagavano per tutta l’area. Non poteva esserci vaccino né una profilassi che potesse alleviare quel tipo di "contagi". Bartolo Longo, a fine ‘800, divenne maestro della inclusione che non discrimina. La sua non fu una opzione ideologica, ma una scelta con al centro il Vangelo e l’annuncio di Gesù. Dalla lettera alla Città dell’Arcivescovo Tommaso Caputo
Carissimi fratelli e figli!
«Gaudeamus omnes in Domino, hodie, diem festum celebrantes sub honore beatorum nostrorum». Così oggi possiamo giustamente cantare, in questa grandiosa solennità, mentre i nostri spiriti si elevano nella contemplazione della gloria celeste raggiunta da tre nuovi beati: don Luigi Orione, suor Maria Anna Sala e Bartolo Longo.
L’omelia di San Giovanni Paolo II

1. È giorno di festa perché la Chiesa ci dice che essi entrano ufficialmente nel culto dei fedeli cristiani e possono essere invocati e pregati, come già partecipi dell’eterna felicità. È giorno di festa, perché la Chiesa per loro mezzo ci indica in modo autorevole e sicuro la meta della nostra vita e la strada per raggiungerla, ricordandoci con san Paolo che «le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8,18); ed è giorno di grande festa perché la Chiesa universale, e in particolare l’Italia, gioiscono insieme ai figli della divina provvidenza, alle suore di santa Marcellina, e ai cittadini di Pompei e di Napoli, per l’onore pubblicamente tributato a questi tre campioni della fede e della carità.
Sì, il Signore è vicino a noi e ci fa comprendere per loro mezzo la sua volontà circa il nostro destino terreno ed eterno: la salvezza e la santificazione dell’uomo, creato «nella giustizia e nella santità vera» (Ef 4, 24). I tre nuovi beati, che oggi invochiamo, per strade diverse e per prove dolorose, hanno combattuto la buona battaglia, hanno mantenuto la fede, hanno perseverato nella carità, raggiungendo così il premio (2 Tm 4, 7). Ed ora, insieme alla moltitudine dei santi, sono per noi luce e conforto, sostegno e consolazione; essi camminano con noi e per noi, come maestri ed amici; essi sono un dono dell’Altissimo, con il loro esempio, la loro parola, la loro intercessione.
Salga perciò, in questo momento, a Dio, autore della grazia, la nostra commossa riconoscenza.
2. Raccogliamoci ora per riflettere in modo particolare sul singolare messaggio che ognuno dei tre beati propone alla nostra meditazione.
(3. …)
4.
Ecco ancora Bartolo Longo, il fondatore del celebre Santuario di Pompei, dove con profonda devozione mi recai or è un anno; egli è l’apostolo del Rosario, il laico che ha vissuto totalmente il suo impegno ecclesiale. Bartolo Longo fu strumento della Provvidenza per la difesa e la testimonianza della fede cristiana e per l’esaltazione di Maria santissima in un periodo doloroso di scetticismo e di anticlericalismo.
A tutti è nota la sua lunga vita, ispirata da una fede semplice ed eroica e densa di episodi suggestivi, durante la quale sgorgò e si sviluppò il miracolo di Pompei. Iniziando dall’umile catechesi ai contadini della valle di Pompei, e dalla recita del Rosario davanti al famoso quadro della Madonna, fino all’erezione dello stupendo Santuario e all’istituzione delle opere di carità per i figli e le figlie dei carcerati, Bartolo Longo portò avanti con intrepido coraggio un’opera grandiosa che ancora oggi ci lascia stupiti ed ammirati. Ma soprattutto è facile notare che tutta la sua esistenza fu un intenso e costante servizio della Chiesa in nome e per amore di Maria. Bartolo Longo, terziario dell’ordine domenicano e fondatore della istituzione delle suore "Figlie del Santo Rosario di Pompei", si può veramente definire "l’uomo della Madonna": per amore di Maria divenne scrittore, apostolo del Vangelo, propagatore del Rosario, fondatore del celebre Santuario in mezzo ad enormi difficoltà ed avversità; per amore di Maria creò istituti di carità, divenne questuante per i figli dei poveri, trasformò Pompei in una vivente cittadella di bontà umana e cristiana; per amore di Maria sopportò in silenzio tribolazioni e calunnie, passando attraverso un lungo Getsemani, sempre fiducioso nella provvidenza, sempre ubbidiente al Papa e alla Chiesa. Egli, con in mano la corona del Rosario, dice anche a noi, cristiani della fine del XX secolo: «Risveglia la tua fiducia nella santissima Vergine del Rosario... Devi avere la fede di Giobbe! ... Santa Madre adorata, io ripongo in te ogni mia afflizione, ogni speranza, ogni fiducia!» (11 marzo 1905).
5. Carissimi!
Oggi la Chiesa propone alla nostra meditazione e alla nostra imitazione un sacerdote, una religiosa ed un laico: è davvero sintomatica questa coincidenza dei tre "stati" di vita! Si può dire che è un avvenimento ed un incoraggiamento a tutte le categorie che formano il popolo di Dio, che costituiscono la Chiesa pellegrinante verso il cielo: tutti siamo chiamati alla santità; per tutti ci sono le grazie necessarie e sufficienti; nessuno è escluso! Come ha sottolineato il Concilio Vaticano II:
«Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità... Nei vari generi di vita e nei vari uffici un’unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre, seguono Cristo povero, umile, e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria» (Lumen Gentium, 40b, 41a).
Ed ancora: «Tutti i fedeli quindi sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato»
(Lumen Gentium, 42e).
Don Orione, suor Maria Anna e Bartolo Longo, nel richiamarci questa dottrina fondamentale, ci danno una lezione di suprema importanza: la necessità della propria santificazione, perseguita con serietà, sincerità, umiltà e costanza: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia!» (Mt 6,33) ammoniva Gesù. La tentazione più subdola, e sempre ricorrente, è quella di voler cambiare la società mutando solamente le strutture esterne; di voler rendere felice l’uomo sulla terra, soddisfacendo unicamente ai suoi bisogni e ai suoi desideri. I nuovi beati che oggi preghiamo dicono a tutti, sacerdoti, religiosi e laici, che l’impegno primo e più importante è quello di cambiare se stessi, di santificare se stessi, nell’imitazione di Cristo, nella metodica e perseverante ascetica quotidiana: il resto verrà in conseguenza.
Eleviamo fidenti la nostra preghiera ai nuovi beati, che già hanno raggiunto la gioia eterna del cielo:
Don Luigi Orione, suor Maria Anna Sala, Bartolo Longo intercedete per la Chiesa, che avete tanto amato! Aiutateci, illuminateci, accompagnateci nel nostro cammino, sempre avanti, con Maria! Estendete il vostro sguardo e il vostro amore all’umanità intera, bisognosa di certezza e di salvezza! E attendeteci nella gloria del cielo, che già possedete!
Amen! Amen! Alleluia!

*Testimonianze

Un incontro particolare
Nicla ha tanto amato Gesù Misericordioso e certamente ha anche amato la di Lui Madre, la Mamma della Misericordia.
Ogni grazia viene a noi per intercessione della Beata Vergine.
La devozione di Nicla alla Madonna del Rosario, venerazione che lei ha sempre onorato giornalmente attraverso il Rosario, deriva da un evento particolare accaduto a Pompei in fanciullezza.
In uno dei suoi primi pellegrinaggi alla Basilica di Pompei, da ragazzina con la sua famiglia, si appartò per conto suo per meditare e pregare, quando le si avvicinò un vecchietto con la barba bianca ed un bastone. Costui le disse «sei una brava e buona ragazza,... prega, preghiamo» si sedette vicino.
La ragazzina Nicla lo guardò negli occhi e continuò a pregare. Poco dopo il vecchietto la salutò dicendo «vado via continua a pregare».
Nicla, assorta nella preghiera, non ebbe molto tempo per riflettere sull’ accaduto e quando lo fece affrettandosi verso l’ uscita della Basilica
si disse: «Non l’ho neanche ringraziato, forse aveva bisogno di qualcosa»; uscita rimase incredula: il vecchietto non c’ era più, era stato molto rapido.
Dopo la Santa Messa Nicla andò con i suoi genitori nella Cripta e vedendo le foto e la salma di Bartolo Longo con gli stessi vestiti, con stupore, emozionata e con la voce tremante disse: «Mamma quest’uomo l’ho visto poco prima nel Santuario con gli stessi abiti e mi ha parlato», raccontando di seguito quanto accaduto.
Era Bartolo Longo, il Beato.
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